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Edoardo Mori: calci in culo per tutti

EDIT 28 Settembre 2011

Qui trovato il documento originale del 16 agosto 2011, molto più ricco dell’intervista:
http://www.earmi.it/varie/scienze%20forensi.pdf
Sono ben 23 pagine dense di informazioni deprimenti sullo stato della nostra magistratura, di cui solo una piccola parte è finita nell’articolo. Per chi vuole vedere per forza come una strumentalizzazione ad hoc contro la magistratura l’articolo del Fognale arrivato un mese dopo (macchina del tempo?), vorrei ricordare che se avessimo magistrati più competenti e capaci anche un certo nanerottolo sarebbe ormai in gabbia da un pezzo perché magari non tutto, ma qualcosa lo ha fatto di sicuro. L’incompetenza della magistratura danneggia tutti, soprattutto chi blatera d’essere di Sinistra.

Oggi ho scoperto, con notevole sorpresa, un’intervista a Edoardo Mori su Il Fognale Giornale. Il giudice Edoardo Mori è da anni una delle persone che stimo di più al mondo, dopo Gamberetta. Il suo sito earmi.it è stato lo stimolo principale per la nascita di Baionette Librarie e in generale per il mio interesse verso la balistica negli ultimi cinque anni. Leggendo i suoi articoli è possibile trovare critiche feroci contro l’incompetenza della magistratura, dei giudici e della legislazione italiana nell’ambito delle armi. Questo articolo, che vi ripropongo in versione completa (l’originale inizia qui), è stupendo. Se avete già sentito voci sull’incompetenza dei periti italiani e della magistratura, come gli innocenti regolarmente condannati e le prove inquinate in allegria dalle forze dell’ordine (o l’abitudine a considerare perito balistico qualificato un semplice “cacciatore esperto”), Edoardo Mori vi aprirà un altro po’ gli gli occhi sull’inesistenza della giustizia in Italia.

Citando un passo bellissimo:

L’indagato innocente avrebbe più vantaggi dall’essere giudicato in base al lancio di una monetina che in base a delle perizie.

Oppure:

Ogni volta che ho segnalato mostruosità tecniche contenute nelle sentenze, mi sono dovuto poi giustificare di fronte al Csm. E ogni volta l’organo di autogoverno della magistratura è stato costretto a prosciogliermi. Forse mi ha inflitto una censura solo nel sesto caso, per aver offuscato l’immagine della giustizia segnalando che un incolpevole cittadino era stato condannato a Napoli.

E (grassetto mio):

In effetti i giudici d’appello un tempo erano eccellenti per prudenza e preparazione, proprio perché dovevano porre rimedio alle bischerate commesse in primo grado dai magistrati inesperti. Ma oggi basta aver compiuto 40 anni per essere assegnati alla Corte d’appello. Non parliamo della Cassazione: leggo sentenze scritte da analfabeti.

E (grassetto mio):

E non parliamo delle centinaia di casi, sconosciuti ai più, conclusi per l’inadeguatezza delle toghe con un errore giudiziario mai riparato: un innocente condannato o un colpevole assolto. In compenso il Csm è sempre solerte a bastonare chi si arrischia a denunciare le manchevolezze delle Procure.

Perché chi non fa “gioco di squadra” e difende i diritti dei cittadini, è un nemico. Proprio come in editoria, dove chi critica le truffe editoriali poi non verrà pubblicato da nessuno: chi difende i diritti dei lettori è sempre un nemico degli editori, per certa gente.

Dopo aver letto una relazione scritta per un pubblico ministero pugliese, con la quale il perito avrebbe fatto condannare un innocente sulla base di rivoltanti castronerie, mi permisi di scrivere al procuratore capo, avvertendolo che quel consulente stava per esporlo a una gran brutta figura. Ebbene, l’emerita testa mi segnalò per un procedimento disciplinare con l’accusa d’aver “cercato di influenzarlo” e un’altra emerita testa mi rinviò a giudizio.

e

Ci vorrebbe una sanzione penale per i Pm. Ma cane non mangia cane, almeno in Italia. In Germania, invece, esiste uno specifico reato. Rechtsverdrehung, si chiama. È lo stravolgimento del diritto da parte del giudice.

Perché tra scrittori magistrati non è lecito criticarsi. Non importa che l’altro abbia torto marcio, è il principio: in editoria magistratura nessuno può permettersi di dire nulla sul lavoro degli altri. Bello, no? Non vi risuonano gli urletti isterici degli autori offesi dalle autopsie letterarie, ovvero dal fatto che un pubblico istruito ed esigente (orrore!) possa accorgersi che scrivono in modo indegno e (doppio orrore!) far capire agli altri lettori che quegli autori sono degli incompetenti pieni di scoregge?

Come avevo già detto più volte, i problemi che affliggono l’editoria italiana sono dovuti alla mentalità di merda che domina in Italia. Chi difende la cultura del “non studiamo i manuali” e “facciamo il gruppetto di amyketti”, sta difendendo il meccanismo di fondo che la genera e, di conseguenza, anche l’intero apparato di aristocratici della giustizia che godono del proprio essere al di sopra della legge e hanno il potere di liberare i criminali e perseguitare gli innocenti, talvolta perfino il contrario, secondo il gusto del momento. E probabilmente eiaculano quando ottengono il suicidio di un innocente dopo anni di carcere e di uso della tortura fisica e psicologica: non è forse il potere di un Dio quello di distribuire la vita e la morte a piacere, senza subirne mai le conseguenze?
Nei fatti il magistrato è Legibus Solutus, come i monarchi del Settecento.

i cittadini sono trattati alla stregua di pezze da piedi, spesso gli interrogatori degenerano in violenza. Il Pm gioca a fare il commissario e non si preoccupa di garantire i diritti dell’inquisito.

Detto da un giudice di cassazione con 42 anni di servizio, non da un anarco-comunista bombarolo con la kefiah e Il Capitale che va con le spranghe alle manifestazioni.

Il problema è tutto di mentalità: è lei che genera la cultura dell’idiozia e dell’incompetenza da cui consegue logicamente il nepotismo e la corruzione (se non sussiste meritocrazia e non si sa come scegliere, perché non aiutare gli amiketti? È anche comprensibile se ci si mette nei panni degli inetti!), che ha distrutto l’Italia dall’editoria alla magistratura passando per la politica e i vari professionisti inaffidabili.


E il giudice si tolse la toga:
“Non sopportavo più l’idiozia di troppi colleghi”

di Stefano Lorenzetti

Magistrati, alzatevi! Stavolta gli imputati siete voi e a processarvi è un vostro collega, il giudice Edoardo Mori. Che un anno fa, come in questi giorni, decise di strapparsi di dosso la toga, disgustato dall’impreparazione e dalla faziosità regnanti nei palazzi di giustizia. «Sarei potuto rimanere fino al 2014, ma non ce la facevo più a reggere l’idiozia delle nuove leve che sui giornali e nei tiggì incarnano il volto della magistratura. Meglio la pensione».

Per 42 anni il giudice Mori ha servito lo Stato tutti i santi i giorni, mai un’assenza, a parte la settimana in cui il figlioletto Daniele gli attaccò il morbillo; prima per otto anni pretore a Chiavenna, in Valtellina, e poi dal 1977 giudice istruttore, giudice per le indagini preliminari, giudice fallimentare (il più rapido d’Italia, attesta il ministero della Giustizia), nonché presidente del Tribunale della libertà, a Bolzano, dov’è stato protagonista dei processi contro i terroristi sudtirolesi, ha giudicato efferati serial killer come Marco Bergamo (cinque prostitute sgozzate a coltellate), s’è occupato d’ogni aspetto giurisprudenziale a esclusione solo del diritto di famiglia e del lavoro. Con un’imparzialità e una competenza che gli vengono riconosciute persino dai suoi nemici. Ovviamente se n’è fatti parecchi, esattamente come suo padre Giovanni, che da podestà di Zeri, in Lunigiana, nel 1939 mandò a farsi friggere Benito Mussolini, divenne antifascista e ospitò per sei mesi in casa propria i soldati inglesi venuti a liberare l’Italia.


Mori confessa d’aver tirato un sospirone di sollievo il giorno in cui s’è dimesso: «Il sistema di polizia, il trattamento dell’imputato e il rapporto fra pubblici ministeri e giudice sono ancora fermi al 1930. Le forze dell’ordine considerano delinquenti tutti gli indagati, i cittadini sono trattati alla stregua di pezze da piedi, spesso gli interrogatori degenerano in violenza. Il Pm gioca a fare il commissario e non si preoccupa di garantire i diritti dell’inquisito. E il Gip pensa che sia suo dovere sostenere l’azione del Pm».

Da sempre studioso di criminologia e scienze forensi, il dottor Mori è probabilmente uno dei rari magistrati che già prima di arrivare all’università si erano sciroppati il Trattato di polizia scientifica di Salvatore Ottoleghi (1910) e il Manuale del giudice istruttore di Hans Gross (1908). Le poche lire di paghetta le investiva in esperimenti su come evidenziare le impronte digitali utilizzando i vapori di iodio. Non c’è attività d’indagine (sopralluoghi, interrogatori, perizie, autopsie, Dna, rilievi dattiloscopici, balistica) che sfugga alle conoscenze scientifiche dell’ex giudice, autore di una miriade di pubblicazioni, fra cui il Dizionario multilingue delle armi, il Codice delle armi e degli esplosivi e il Dizionario dei termini giuridici e dei brocardi latini che vengono consultati da polizia, carabinieri e avvocati come se fossero tre dei 73 libri della Bibbia.

Nato a Milano nel 1940, nel corso della sua lunga carriera Mori ha firmato almeno 80.000 fra sentenze e provvedimenti, avendo la soddisfazione di vederne riformati nei successivi gradi di giudizio non più del 5 per cento, un’inezia rispetto alla media, per cui gli si potrebbe ben adattare la frase latina che Sant’Agostino nei suoi Sermones riferiva alle questioni sottoposte al vaglio della curia romana o dello stesso pontefice: «Roma locuta, causa finita». Il dato statistico può essere riportato solo perché Mori è uno dei pochi, o forse l’unico in Italia, che ha sempre avuto la tigna di controllare periodicamente com’erano andati a finire i casi passati per le sue mani: «Di norma ai giudici non viene neppure comunicato se le loro sentenze sono state confermate o meno. Un giudice può sbagliare per tutta la vita e nessuno gli dice nulla. La corporazione è stata di un’abilità diabolica nel suddividere le eventuali colpe in tre gradi di giudizio. Risultato: deresponsabilizzazione totale. Il giudice di primo grado non si sente sicuro? Fa niente, condanna lo stesso, tanto – ragiona – provvederà semmai il collega in secondo grado a metterci una pezza. In effetti i giudici d’appello un tempo erano eccellenti per prudenza e preparazione, proprio perché dovevano porre rimedio alle bischerate commesse in primo grado dai magistrati inesperti. Ma oggi basta aver compiuto 40 anni per essere assegnati alla Corte d’appello. Non parliamo della Cassazione: leggo sentenze scritte da analfabeti».

Soprattutto, se il giudice sbaglia, non paga mai. «La categoria s’è autoapplicata la regola che viene attribuita all’imputato Stefano Ricucci: “È facile fare il frocio col sedere degli altri”. Le risulta che il Consiglio superiore della magistratura abbia mai condannato i giudici che distrussero Enzo Tortora? E non parliamo delle centinaia di casi, sconosciuti ai più, conclusi per l’inadeguatezza delle toghe con un errore giudiziario mai riparato: un innocente condannato o un colpevole assolto. In compenso il Csm è sempre solerte a bastonare chi si arrischia a denunciare le manchevolezze delle Procure».

Il dottor Mori parla con cognizione di causa: ha dovuto subire ben sei provvedimenti disciplinari e tutti per aver criticato l’operato di colleghi arruffoni e incapaci. «Dopo aver letto una relazione scritta per un pubblico ministero pugliese, con la quale il perito avrebbe fatto condannare un innocente sulla base di rivoltanti castronerie, mi permisi di scrivere al procuratore capo, avvertendolo che quel consulente stava per esporlo a una gran brutta figura. Ebbene, l’emerita testa mi segnalò per un procedimento disciplinare con l’accusa d’aver “cercato di influenzarlo” e un’altra emerita testa mi rinviò a giudizio. Ogni volta che ho segnalato mostruosità tecniche contenute nelle sentenze, mi sono dovuto poi giustificare di fronte al Csm. E ogni volta l’organo di autogoverno della magistratura è stato costretto a prosciogliermi. Forse mi ha inflitto una censura solo nel sesto caso, per aver offuscato l’immagine della giustizia segnalando che un incolpevole cittadino era stato condannato a Napoli. Ma non potrei essere più preciso al riguardo, perché, quando m’è arrivata l’ultima raccomandata dal Palazzo dei Marescialli, l’ho stracciata senza neppure aprirla. Delle decisioni dei supremi colleghi non me ne fregava più nulla».

Perché ha fatto il magistrato?
«Per laurearmi in fretta, visto che in casa non c’era da scialare. Fin da bambino me la cavavo un po’ in tutto, perciò mi sarei potuto dedicare a qualsiasi altra cosa: chimica, scienze naturali e forestali, matematica, lingue antiche. Già da pretore mi documentavo sui testi forensi tedeschi e statunitensi e applicavo regole che nessuno capiva. Be’, no, a dire il vero uno che le capiva c’era: Giovanni Falcone».

Il magistrato trucidato con la moglie e la scorta a Capaci.
«Mi portò al Csm a parlare di armi e balistica. Ma poi non fui più richiamato perché osai spiegare che molti dei periti che i tribunali usavano come oracoli non erano altro che ciarlatani. Ciononostante questi asini hanno continuato a istruire i giovani magistrati e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ma guai a parlar male dei periti ai Pm: ti spianano. Pensi che uno di loro, utilizzato anche da un’università romana, è riuscito a trovare in un residuo di sparo tracce di promezio, elemento chimico non noto in natura, individuato solo al di fuori del sistema solare e prodotto in laboratorio per decadimento atomico in non più di 10 grammi».

Per quale motivo i pubblici ministeri scambiano i periti per oracoli?
«Ma è evidente! Perché i periti offrono ai Pm le risposte desiderate, gli forniscono le pezze d’appoggio per confermare le loro tesi preconcette. I Pm non tollerano un perito critico, lo vogliono disponibile a sostenere l’accusa a occhi chiusi. E siccome i periti sanno che per lavorare devono far contenti i Pm, si adeguano».

Ci sarà ben un organo che vigila sull’operato dei periti.
«Nient’affatto, in Italia manca totalmente un sistema di controllo. Quando entrai in magistratura, nel 1968, era in auge un perito che disponeva di un’unica referenza: aver recuperato un microscopio abbandonato dai nazisti in fuga durante la seconda guerra mondiale. Per ottenere l’inserimento nell’albo dei periti presso il tribunale basta essere iscritti a un ordine professionale. Per chi non ha titoli c’è sempre la possibilità di diventare perito estimatore, manco fossimo al Monte di pietà. Ci sono marescialli della Guardia di finanza che, una volta in pensione, ottengono dalla Camera di commercio il titolo di periti fiscali e con quello vanno a far danni nelle aule di giustizia».

Sono sconcertato.
«Anche lei può diventare perito: deve solo trovare un amico giudice che la nomini. I tribunali rigurgitano di tuttologi, i quali si vantano di potersi esprimere su qualsiasi materia, dalla grafologia alla dattiloscopia. Spesso non hanno neppure una laurea. Nel mondo anglosassone vi è una tale preoccupazione per la salvaguardia dei diritti dell’imputato che, se in un processo si scopre che un perito ha commesso un errore, scatta il controllo d’ufficio su tutte le sue perizie precedenti, fino a procedere all’eventuale revisione dei processi. In Italia periti che hanno preso cantonate clamorose continuano a essere chiamati da Pm recidivi e imperterriti, come se nulla fosse accaduto».

Può fare qualche caso concreto?
«Negli accertamenti sull’attentato a Falcone vennero ricostruiti in un poligono di tiro – con costi miliardari, parlo di lire – i 300 metri dell’autostrada di Capaci fatta saltare in aria da Cosa nostra, per scoprire ciò che un esperto già avrebbe potuto dire a vista con buona approssimazione e cioè il quantitativo di esplosivo usato. È chiaro che ai fini processuali poco importava che fossero 500 o 1.000 chili. Molto più interessante sarebbe stato individuare il tipo di esplosivo. Dopo aver costruito il tratto sperimentale di autostrada, ci si accorse che un manufatto recente aveva un comportamento del tutto diverso rispetto a un manufatto costruito oltre vent’anni prima. Conclusione: quattrini gettati al vento. Nel caso dell’aereo Itavia, inabissatosi vicino a Ustica nel 1980, gli esami chimici volti a ricercare tracce di esplosivi su reperti ripescati a una profondità di circa 3.500 metri vennero affidati a chimici dell’Università di Napoli, i quali in udienza dichiararono che tali analisi esulavano dalle loro competenze. Però in precedenza avevano riferito di aver trovato tracce di T4 e di Tnt in un sedile dell’aereo e questa perizia ebbe a influenzare tutte le successive pasticciate indagini, orientate a dimostrare che su quel volo era scoppiata una bomba. Vuole un altro esempio di imbecillità esplosiva?».

Prego.
Sono rassegnato a tutto.

«Per anni fior di magistrati hanno cercato di farci credere che il plastico impiegato nei più sanguinosi attentati attribuiti all’estrema destra, dal treno Italicus nel 1974 al rapido 904 nel 1984, era stato recuperato dal lago di Garda, precisamente da un’isoletta, Trimelone, davanti al litorale fra Malcesine e Torri del Benaco, militarizzata fin dal 1909 e adibita a santabarbara dai nazisti. Al processo per la strage di Bologna l’accusa finì nel ridicolo perché nessuno dei periti s’avvide che uno degli esplosivi, asseritamente contenuti nella valigia che provocò l’esplosione e che pareva fosse stato ripescato nel Benaco dai terroristi, era in realtà contenuto solo nei razzi del bazooka M20 da 88 millimetri di fabbricazione statunitense, entrato in servizio nel 1948. Un po’ dura dimostrare che lo avessero già i tedeschi nel 1945».

Ormai non ci si può più fidare neppure dell’esame del Dna, basti vedere la magra figura rimediata dagli inquirenti nel processo d’appello di Perugia per l’omicidio di Meredith Kercher.
«Si dice che questo esame presenti una probabilità d’errore su un miliardo. Falso. Da una ricerca svolta su un database dell’Arizona, contenente 65.000 campioni di Dna, sono saltate fuori ben 143 corrispondenze. Comunque era sufficiente vedere i filmati in cui uno degli investigatori sventolava trionfante il reggiseno della povera vittima per capire che sulla scena del delitto era intervenuta la famigerata squadra distruzione prove. A dimostrazione delle cautele usate, il poliziotto indossava i guanti di lattice. Restai sbigottito vedendo la scena al telegiornale. I guanti servono per non contaminare l’ambiente col Dna dell’operatore, ma non per manipolare una possibile prova, perché dopo due secondi che si usano sono già inquinati. Bisogna invece raccogliere ciascun reperto con una pinzetta sterile e monouso. I guanti non fanno altro che trasportare Dna presenti nell’ambiente dal primo reperto manipolato ai reperti successivi. E infatti adesso salta fuori che sul gancetto del reggipetto c’era il Dna anche della dottoressa Carla Vecchiotti, una delle perite che avrebbero dovuto isolare con certezza le eventuali impronte genetiche di Raffaele Sollecito e Amanda Knox. Non è andata meglio a Cogne».

Cioè?
«In altri tempi l’indagine sulla tragica fine del piccolo Samuele Lorenzi sarebbe stata chiusa in mezza giornata. Gli infiniti sopralluoghi hanno solo dimostrato che quelli precedenti non erano stati esaustivi. Il sopralluogo è un passaggio delicatissimo, che non consente errori. Gli accessi alla scena del delitto devono essere ripetuti il meno possibile perché ogni volta che una persona entra in un ambiente introduce qualche cosa e porta via altre cose. Ma il colmo dell’ignominia è stato toccato nel caso Marta Russo».

Si riferisce alle prove balistiche sul proiettile che uccise la studentessa nel cortile dell’Università La Sapienza di Roma?
«E non solo. S’è preteso di ricostruire la traiettoria della pallottola avendo a disposizione soltanto il foro d’ingresso del proiettile su un cranio che era in movimento e che quindi poteva rivolgersi in infinite direzioni. In tempi meno bui, sui libri di geometria del ginnasio non si studiava che per un punto passano infinite rette? Dopodiché sono andati a grattare il davanzale da cui sarebbe partito il colpo e hanno annunciato trionfanti: residui di polvere da sparo, ecco la prova! Peccato che si trattasse invece di una particella di ferodo per freni, di cui l’aria della capitale pullula a causa del traffico. La segretaria Gabriella Alletto è stata interrogata 13 volte con metodi polizieschi per farle confessare d’aver visto in quell’aula gli assistenti Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro. Uno che si comporta così, se non è un pubblico ministero, viene indagato per violenza privata. Un Pm non può usare tecniche da commissario di pubblica sicurezza, anche se era il metodo usato da Antonio Di Pietro, che infatti è un ex poliziotto».

Un sistema che ha fatto scuola.
«La galera come mezzo di pressione sui sospettati per estorcere confessioni. Le manette sono diventate un moderno strumento di tortura per acquisire prove che mancano e per costringere a parlare chi, per legge, avrebbe invece diritto a tacere».

Che cosa pensa delle intercettazioni telefoniche che finiscono sui giornali?
«Non serve una nuova legge per vietare la barbarie della loro indebita pubblicazione. Quella esistente è perfetta, perché ordina ai Pm di scremare le intercettazioni utili all’indagine e di distruggere le altre. Tutto ciò che non riguarda l’indagato va coperto da omissis in fase di trascrizione. Nessuno lo fa: troppa fatica. Ci vorrebbe una sanzione penale per i Pm. Ma cane non mangia cane, almeno in Italia. In Germania, invece, esiste uno specifico reato. Rechtsverdrehung, si chiama. È lo stravolgimento del diritto da parte del giudice».

Come mai la giustizia s’è ridotta così?
«Perché, anziché cercare la prova logica, preferisce le tesi fantasiose, precostituite. Le statistiche dimostrano invece che nella quasi totalità dei casi un delitto è banale e che è assurdo andare in cerca di soluzioni da romanzo giallo. Lei ricorderà senz’altro il rasoio di Occam, dal nome del filosofo medievale Guglielmo di Occam».

In un ragionamento tagliare tutto ciò che è inutile.
«Appunto.
Le regole logiche da allora non sono cambiate. Non vi è alcun motivo per complicare ciò che è semplice. Il “cui prodest?” è risolutivo nel 50 per cento dei delitti. Chi aveva interesse a uccidere? O è stato il marito, o è stata la moglie, o è stato l’amante, o è stato il maggiordomo, vedi assassinio dell’Olgiata, confessato dopo 20 anni dal cameriere filippino Manuel Winston. Poi servono i riscontri, ovvio. In molti casi la risposta più banale è che proprio non si può sapere chi sia l’autore di un crimine. Quindi è insensato volerlo trovare per forza schiaffando in prigione i sospettati».

Ma perché si commettono tanti errori nelle indagini?
«I giudici si affidano ai laboratori istituzionali e ne accettano in modo acritico i responsi. Nei rari casi in cui l’indagato può pagarsi un avvocato e un buon perito, l’esperienza dimostra che l’accertamento iniziale era sbagliato. I medici i loro errori li nascondono sottoterra, i giudici in galera. Paradigmatico resta il caso di Ettore Grandi, diplomatico in Thailandia, accusato nel 1938 d’aver ucciso la moglie che invece si era suicidata. Venne assolto nel 1951 dopo anni di galera e ben 18 perizie medico-legali inconcludenti».

E si ritorna alla conclamata inettitudine dei periti.
«L’indagato innocente avrebbe più vantaggi dall’essere giudicato in base al lancio di una monetina che in base a delle perizie. E le risparmio l’aneddotica sulla voracità dei periti».

No, no, non mi risparmi nulla.
«Vengono pagati per ogni singolo elemento esaminato. Ho visto un colonnello, incaricato di dire se 5.000 cartucce nuove fossero ancora utilizzabili dopo essere rimaste in un ambiente umido, considerare ognuna delle munizioni un reperto e chiedere 7.000 euro di compenso, che il Pm gli ha liquidato: non poteva spararne un caricatore? Ho visto un perito incaricato di accertare se mezzo container di kalashnikov nuovi, ancora imballati nella scatola di fabbrica, fossero proprio kalashnikov. I 700-800 fucili mitragliatori sono stati computati come altrettanti reperti. Parcella da centinaia di migliaia di euro. Per fortuna è stata bloccata prima del pagamento».

In che modo se ne esce?
«Nel Regno Unito vi è il Forensic sciences service, soggetto a controllo parlamentare, che raccoglie i maggiori esperti in ogni settore e fornisce inoltre assistenza scientifica a oltre 60 Stati esteri. Rivolgiamoci a quello. Dispone di sette laboratori e impiega 2.500 persone, 1.600 delle quali sono scienziati di riconosciuta autorità a livello mondiale».

E per le altre magagne?
«In Italia non esiste un testo che insegni come si conduce un interrogatorio. La regola fondamentale è che chi interroga non ponga mai domande che anticipino le risposte o che lascino intendere ciò che è noto al pubblico ministero o che forniscano all’arrestato dettagli sulle indagini. Guai se il magistrato fa una domanda lunga a cui l’inquisito deve rispondere con un sì o con un no. Una palese violazione di questa regola elementare s’è vista nel caso del delitto di Avetrana. Il primo interrogatorio di Michele Misseri non ha consentito di accertare un fico secco perché il Pm parlava molto più dello zio di Sarah Scazzi: bastava ascoltare gli scampoli di conversazione incredibilmente messi in onda dai telegiornali. Ci sarebbe molto da dire anche sulle autopsie».

Ci provi.
«È ormai routine leggere che dopo un’autopsia ne viene disposta una seconda, e poi una terza, quando non si riesumano addirittura le salme sepolte da anni. Ciò dimostra solamente che il primo medico legale non era all’altezza. Io andavo di persona ad assistere agli esami autoptici, spesso ho dovuto tenere ferma la testa del morto mentre l’anatomopatologo eseguiva la craniotomia. Oggi ci sono Pm che non hanno mai visto un cadavere in vita loro».

Ma in mezzo a questo mare di fanghiglia, lei com’è riuscito a fare il giudice per 42 anni, scusi?
«Mi consideri un pentito. E un corresponsabile. Anch’io ho abusato della carcerazione preventiva, ma l’ho fatto, se mai può essere un’attenuante, solo con i pregiudicati, mai con un cittadino perbene che rischiava di essere rovinato per sempre. Mi autoassolvo perché ho sempre lavorato per quattro. Almeno questo, tutti hanno dovuto riconoscerlo».

Non è stato roso dal dubbio d’aver condannato un innocente?
«Una volta sì. Mi ero convinto che un impiegato delle Poste avesse fatto da basista in una rapina. Mi fidai troppo degli investigatori e lo tenni dentro per quattro-cinque mesi. Fu prosciolto dal tribunale».

Gli chiese scusa?
«Non lo rividi più, sennò l’avrei fatto. Lo faccio adesso. Ma forse è già morto».

Intervistato sul Corriere della Sera da Indro Montanelli nel 1959, il giorno dopo essere andato in pensione, il presidente della Corte d’appello di Milano, Manlio Borrelli, padre dell’ex procuratore di Mani pulite, osservò che «in uno Stato bene ordinato, un giudice dovrebbe, in tutta la sua carriera e impegnandovi l’intera esistenza, studiare una causa sola e, dopo trenta o quarant’anni, concluderla con una dichiarazione d’incompetenza».
«In Germania o in Francia non si parla mai di giustizia.
Sa perché? Perché funziona bene. I magistrati sono oscuri funzionari dello Stato. Non fanno né gli eroi né gli agitatori di popolo. Nessuno conosce i loro nomi, nessuno li ha mai visti in faccia».

Si dice che il giudice non dev’essere solo imparziale: deve anche apparirlo. Si farebbe processare da un suo collega che arriva in tribunale con Il Fatto Quotidiano sotto braccio? Cito questa testata perché di trovarne uno che legga Il Giornale non m’è mai capitato.
«Ho smesso d’andare ai convegni di magistrati da quando, su 100 partecipanti, 80 si presentavano con La Repubblica e parlavano solo di politica. Tutti espertissimi di trame, nomine e carriere, tranne che di diritto».

Quanti sono i giudici italiani dai quali si lascerebbe processare serenamente?
«Non più del 20 per cento. Il che collima con le leggi sociologiche secondo cui gli incapaci rappresentano almeno l’80 per cento dell’umanità, come documenta Gianfranco Livraghi nel suo saggio Il potere della stupidità».

Perché ha aspettato il collocamento a riposo per denunciare tutto questo?
«A dire il vero l’ho sempre denunciato, fin dal 1970. Solo che potevo pubblicare i miei articoli unicamente sul mensile Diana Armi. Ha chiuso otto mesi fa».

(561. Continua)


Quando sarà disponibile online il resto dell’intervista, la aggiungerò.

Aggiungo l’intervista a Edoardo Mori fatta per Armi e Strumenti, sito molto serio e con un altissimo livello tecnico degli articoli, in cui parla delle follie legislative nell’ambito delle armi. Leggi fatte da ignoranti e incompetenti. I discorsi di Mori sul modo in cui la Giustizia si occupa di armi non sono granché diversi da quelli che io e Gamberetta facciamo sul modo in cui l’Editoria si occupa di Narrativa Fantastica.

Come è ovvio. L’ignoranza, l’idiozia e la malafede sono i mali comuni di qualsiasi ambito, poiché fanno leva sulla pigrizia e sull’arroganza degli stolti, e creano in questo modo tutti i problemi del mondo.

Buon divertimento!

Il Duca di Baionette

Dal 2006 mi occupo in modo costante di narrativa fantastica e tecniche di scrittura. Nel 2007 ho fondato Baionette Librarie e nel gennaio 2012 ho avviato AgenziaDuca.it per trovare bravi autori e aiutarli a migliorare con corsi di scrittura mirati. Dal 2014 sono ideatore e direttore editoriale della collana di narrativa fantastica Vaporteppa.

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  • Incommentabile.
    Sapevo di leggi scritte e applicate col culo, ma non che si fosse a simili livelli d'incompetenza e spreco; e poi qualcuno si lamenta quando si dà contro alla magistratura, come se fossero un gruppo di solerti lavoratori immacolati.

    A uno che conosco la polizia ha fatto piombare le teche con i coltelli (singolo filo, non a scatto), in quanto evidentemente sono pericolossisime armi. Il fatto che la legge non li classifichi tali è stato ovviamente ininfluente.
    Un ricorso è stato rifiutato ufficialmente senza motivazioni, ufficiosamente perché il giudice ha deciso che due ragazzi di trent'anni si pongono verso un cane nello stesso modo in cui sua nipote di sei anni si poneva verso il gatto (del tipo: "So come vanno queste cose: mia nipote ha preso un gatto e ora lo guardano i genitori"); il tutto dopo che la documentazione era stata consegnata in busta aperta, in spregio della legge sulla privacy.
    E avanti cosí.

    Refuso:

    originale inizia qui: manca il collegamento.

  • Quindi ricapitoliamo: il legislativo è una mmerda, l'esecutivo pure, il giudiziario idem con patate. Sta repubblica pare l'incubo di Montesquieu.

  • Edoardo Mori è una persona di grande cultura e il padre putativo di tutti quelli che si occupano di oplologia sul web. Quando i suoi colleghi ancora si rifiutavano di scrivere i verbali al pc, lui apriva earmi (1997); quando decine di ritardati cercavano di tirare fuori due notizie sulle leggi riguardanti le armi, lui ne faceva una puntuale rivista. Si è sempre aggiornato, ha sempre studiato le scienze forensi e tutto ciò che poteva riguardare il suo lavoro e le sue passioni.
    Mi tolgo il cappello ad ogni sua parola.

    p.s. bell'articolo

    amyketto Zwei

  • Sono un profano del campo, ma mi permetto di fare qualche osservazione (se dico boiate uccidetemi) e qualche domanda.

    Nel caso di Yara, ricordo che avevano chiamato la scientifica americana o qualcosa di simile. Quoto da uno dei primi risultati di google.

    L'FBI americana infatti è pronta per portare la sua esperienza anche nel caso della tredicenne. Il reparto scientifico esaminerà i campioni di dna ritrovati sugli slip di Yara per fornire un quadro identificativo ancora più preciso, arrivando al colore degli occhi e dei capelli del "proprietario" ed altre caratteristiche utili all'identificazione.
    Si tratta di una collaborazione scientifica poichè, in realtà, gli stessi macchinari in dotazione all'FBI sono utilizzati anche in Italia e gli esperti nostrani non hanno nulla da invidiare ai più celebri colleghi statunitensi.

    In primis: Perché allora chiamarli in aiuto?
    In secundis: Sbaglio o alla fine hanno "scoperto" che l'assassino era tipo un uomo di razza caucasica? (alias: un Tal dei tali qualsiasi, hanno scoperto l'acqua calda) A cosa è servito? Non poteva farlo anche la scientifica nostrana?

    Per quanto riguarda gli interrogatori:

    «In Italia non esiste un testo che insegni come si conduce un interrogatorio. La regola fondamentale è che chi interroga non ponga mai domande che anticipino le risposte o che lascino intendere ciò che è noto al pubblico ministero o che forniscano all’arrestato dettagli sulle indagini. Guai se il magistrato fa una domanda lunga a cui l’inquisito deve rispondere con un sì o con un no. Una palese violazione di questa regola elementare s’è vista nel caso del delitto di Avetrana. Il primo interrogatorio di Michele Misseri non ha consentito di accertare un fico secco perché il Pm parlava molto più dello zio di Sarah Scazzi: bastava ascoltare gli scampoli di conversazione incredibilmente messi in onda dai telegiornali. Ci sarebbe molto da dire anche sulle autopsie».

    Vorrei esprimere un parere.
    A parte gli studi universitari di Psicologia, ho letto alcuni libri di Linguaggio non-verbale. Insomma, quello che fanno a "Lie to me", ma in maniera verosimile.
    Ora, uno di questi manuali l'ha scritto un tal Joe Navarro, qui la pagina di Wikipedia. 'Sto tizio ha lavorato per l'FBI e in Il linguaggio del corpo, se non ricordo male, dice che nonostante la preparazione accademica, ha imparato gran parte di ciò che sa durante gli interrogatori - lui era praticamente quello che osservava il comportamento degli interrogati (e ne ha sgamati a vagonate). Oltre alla sua competenza, col continuo lavoro ha imparato a riconoscere dei pattern comportamentali che si manifestavano in persone sotto la tensione dell'interrogatorio. La comunicazione non-verbale non è una scienza esatta, sicuramente meno rispetto ad altre discipline, perché purtroppo le variabili sono tantissime (schemi comportamentali di ogni individuo) ed è difficile poter fare una "diagnosi di colpevolezza" così, su due piedi. Sarebbe un po' come fare le previsioni del tempo: variabili infinite e in continuo cambiamento, però più di qualche volta se dicono che piove, in effetti, piove.
    Quindi, quest'uomo era in grado di dire se la gente fosse colpevole o no, era preparato, aveva imparato ancora di più sul campo, e veniva chiamato proprio per questo motivo!
    Sono l'unico che trova assurdo che un Pm, o meglio, un idiota qualsiasi, svolga il lavoro che spetterebbe a qualcun altro? In pratica è come se un saldatore venisse chiamato per eseguire un'appendicectomia.

    E ora il fun fact: quando Misseri era stato giudicato colpevole, il Tg5 - mi pare - aveva preparato un servizio in cui un tale, qualcosa come l'esponente dell'unica scuola di comunicazione non-verbale italiana (sigh), mostrava i video delle interviste dei vari tg allo zio Michele e illustrava i segni della menzogna, l'alzata di spalle asimmetrica, il sorriso da divo, ecc.
    Facile, a posteriori.
    Ma ironia della sorte, ha fatto pure cilecca. .___.
    Italians do it worse.

  • Mori è inappuntabile. Chi fa l'intervista un po' di meno. Specie quando sottintende che chi legge certi giornali è politicizzato e chi legge il suo no.
    Per il resto, chapeau a chi fa coscienziosamente il suo lavoro e denuncia le magagne di chi non lo fa tranquillo di essere difeso dalla sua banda. Cosa che purtroppo succede un po' dovunque in questa repubblica delle banane.

  • Specie quando sottintende che chi legge certi giornali è politicizzato e chi legge il suo no.

    Intendi questa?

    Si dice che il giudice non dev’essere solo imparziale: deve anche apparirlo. Si farebbe processare da un suo collega che arriva in tribunale con Il Fatto Quotidiano sotto braccio? Cito questa testata perché di trovarne uno che legga Il Giornale non m’è mai capitato.

    Veramente se leggi la frase scritta come è scritta, la costruzione implica che il Fognale sia una merda come Il Fatto, solo che è sull'altra sponda. Non implica che sia meno fazioso, solo che di norma la faziosità preferita è diversa.

    Se mettesse Il Giornale, come dice nella terza frase, verrebbe:

    Si dice che il giudice non dev’essere solo imparziale: deve anche apparirlo. Si farebbe processare da un suo collega che arriva in tribunale con Il Giornale sotto braccio?

    E il risultato sarebbe uguale: giornale fazioso e giudice politicizzato.

    Ovviamente si possono inventare interpretazioni diverse appigliandosi a fantasiose idee, ma la frase ha come significato quello. Non si può scegliere.

    Un critico più furbo avrebbe indicato invece il fatto che Il Fognale fa talmente schifo che si becca frecciatine perfino da un suo giornalista. Che era poi l'intento della frase, così come la grammatica inequivocabilmente afferma. Un intento evidente, ma lasciato con quel minimo di vago perché nessuno glielo censurasse (avrà puntato sul fatto che chi doveva controllare l'articolo non era il top nella comprensione testuale... o che magari nemmeno lo controllavano).

    È invece Mori a trascinare nel fango Repubblica con gli altri due citandolo come giornale preferito dai colleghi. Manco fosse l'Unità... LOL.
    Concordo. Solo un scemo difenderebbe i giornali italiani, sono quasi integralmente schifezze, tutti quanti senza eccezione, con rarissimi articoli interessanti qua e là.

  • come documenta Gianfranco Livraghi nel suo saggio Il potere della stupidità

    Duca, l'hai letto? Merita?

  • No, ma Angra ha citato una volta almeno la cosa dell'80% per cui mi sa che l'ha letto. ^_^
    Io l'ho ordinato subito dopo aver letto l'intervista, ma dovrò aspettare 3 settimane per averlo.

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Il Duca di Baionette

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