Nei primi giorni dell’anno, tra Capodanno e l’Epifania, i consumi italiani di bollicine di ogni tipo sono al top. Tra spumanti generici e DOP di varie nazionalità, di ogni prezzo, colore e sapore, durante le feste sono state stimate 90 milioni di bottiglie “stappate” (vendute?) entro Capodanno. Più o meno bevute, schizzate precocemente sul pavimento allo sparo del tappo, esplose in un tentativo di sabrage, regalate e lasciate a impolverarsi su uno scaffale, usate come clava su un conoscente poco simpatico o sganciate con i bombardieri sopra un villaggio di negretti nelle colonie dell’Africa Sublaziale.
L’idea di un bombardiere piemontese che sorvola la piazza di un tipico villaggio pugliese di “trulli surrogati”, capanne in paglia e sterco, e sgancia decine di bottiglie di Asti Spumante sulla folla di negri intenti a bere l’infido vino del contadino con il sedano dentro per dargli un po’ di corpo, mi mette un’ariana allegria. E se vi pare che la mia visione della Puglia sia un po’ troppo africana, non dimenticatevi che un loro vitigno tipico è il “Negro Amaro“. E quella colonia nell’Africa Sublaziale produce anche l’ottimo Primitivo, che però non è Giuseppe Simone o DagoRed, tra cui il molto apprezzato Primitivo di Manduria. Con nomi simili, negri amari e primitivi nei trulli, c’è poco da lamentarsi! ^_^

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I trulli di Alberobello,
versione “pulita”, da ricconi, per far contenti i turisti.

Ovviamente il Primitivo di Manduria non è (più) Taotor visto che ha imparato l’alfabeto e a furia di studiare materie ariane è sbiancato, il naso camuso si è drizzato e i labbroni sgonfiati. L’osso nel naso è stato riassorbito, formando la fetta di cervello mancante. Ricordo ancora i bei tempi, anni fa, quando era un negretto ricciuto che rincorreva una palla di stracci tra i trulli, dribblando sterco di capra, e gli davo rettangolini di meta per il fornello da campo spalmati di marmellata! Risate fino a far cadere il casco coloniale a guardarlo piegato dai conati!

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I veri “trulli surrogati” pugliesi, capolavori di primitivismo architettonico che nulla hanno da invidiare alla Reggia di Versailles o alla Basilica di San Pietro.
L’Arte è soggettiva, i gusti sono gusti!

Mi è stato suggerito di dedicare un articolo di indicazioni sugli spumanti più economici e più facili da trovare nei supermercati per Capodanno. Ho deciso di parlare di una verticale di quattro prodotti entro i tre euro, dal più economico al più costoso, concludendo con un prodotto bonus decoroso entro i cinque euro.
Perché un articolo simile, per parlare di prodotti da cui chiaramente ci si può aspettare molto poco, non certo rari casi di prodotti che valgono molto più del loro prezzo come fu con il Moscato La Versa e con l’Asti Docg Martini & Rossi?
Capisco non avere soldi per delle bollicine di buona qualità (basterebbero 10 euro), ma non è possibile che brindiate con i bottiglioni di Peroni da 66 cl, come i muratori rumeni tanto amati da Zwei. Allo stesso tempo, soprattutto se si capisce poco di ciò che si beve perché non si è abituati, ha poco senso spendere soldi per Capodanno, occasione in cui si fa il botto, c’è casino, si è stanchi, zeppi di cibo e quindi nelle peggiori condizioni per assaggiare i delicati sapori e il bouquet complesso di un buon Franciacorta o di uno Champagne. Tra una cosa e l’altra tanto vale puntare in basso, indirizzandosi con un minimo di criterio verso la bottiglia più adatta ai propri gusti.

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Bellavita La Marchesina Gran Dessert, a 1,19 euro.
Seppure sia una fanciulla (marchesina, non marchesa!), questa bevanda aromatizzata a base di vino prodotta in Italia da CVC srl a Gattinara (nota anche come Casa Vinicola Bellavita srl) e distribuita dalla Lebanese Arak Corporation (azienda statunitense di origini libanesi-siriane), non è certo un prodotto raffinato o elegante.
Non lo dico con cattiveria, cara marchesina, ma dovreste davvero allenarvi di più a camminare con un libro in testa, a ballare senza pestare i piedi al cavaliere, a riuscire a non guardarvi solo le scarpe mentre parlate con qualcuno e a ridere senza che vi parta in mezzo un singulto…
Nonostante la sua semplicità sembra piacere ai Russi, unici consumatori di cui ho trovato recensioni: gli rifilano 4 o 5 stelline, ovvero il massimo o quasi del gradimento. La bottiglia per il mercato russo ha un’etichetta diversa, in parte in italiano (quella per l’Italia è solo in italiano). L’impressione che deve fare nella GDO russa è quella delle bollicine italiane di importazione, puntate però a un pubblico che pur essendo abbastanza raffinato da non bere bottiglie con gli scarti di lavorazione della vodka, allo stesso tempo non ha molti soldi da spendere.
Nonostante il prezzo sia basso in rapporto ad altri vini sul mercato russo, dai 170 ai 350 rubli, questa comunque non è una cifra bassa in assoluto: da 4,2 a 8,7 euro (furto!), in un mondo in cui lo stipendio minimo è meno di 6mila rubli (ed è considerato molto sotto la soglia di povertà) e pochi mesi fa c’erano scioperi per i salari medi miserabili da circa 10mila rubli al mese (povertà), anche se nell’industria dell’auto arrivano fino a 18mila rubli (che non è comunque molto) dopo i recenti scioperi in primavera. Poveri russi.
Più recensori mettono, scherzosamente, come unico difetto di La Marchesina che si beve così bene da finire per berne troppo! Una ragazza, che non sembrava (dalla traduzione di Google russo-inglese) né una bimbaminkia né una pazza, ha affermato che è così buono da averne scolate otto bottiglie in cinque ragazze, una sera. Un altro tizio lo ha definito una buona alternativa economica all’amato Asti Spumante. Un altro ancora, più precisamente, come alternativa economica all’odiato Asti Mondoro (linea della Campari pensata principalmente per la Russia: forse odiato perché costa 1500+ rubli?).
Mah! L’unico voto negativo, 2 stelle, criticava la grande dolcezza che per gli altri era un vantaggio. Anche l’etichetta (secondo loro) da bottiglia “costosa” abbinata a un marchio poco conosciuto, ha il vantaggio di far fare bella figura spendendo poco. Effettivamente l’etichetta non è malaccio, ha quel fascino retrò e un po’ dozzinale che può ingannare.

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Retro della bottiglia per il mercato russo.

In fondo non sarebbe nemmeno giusto valutare La Marchesina con i criteri di un vino, sarebbe come analizzare un cocktail di gazzosa e alcool, o la cola del discount. Ma ha il tappo che pare a fungo sotto la stagnola e la vendono tra i vini, a competere con gli Asti Docg del glorioso Piemonte (Avanti, Savoia!), per cui la valutazione ci sta.
Di solito valutare un vino cattivo è difficile, perché si è incerti se optare tra la sufficienza risicata in un valore e l’insufficienza. Facile dire che un grande vino è chiaramente così e cosà, più difficile distinguere le sfumature di mediocrità. Ma La Marchesina ha saputo stupirmi: mai bevuto una porcata così chiaramente porcata.
Il tappo a fungo è in plastica, unica nota positiva in tutta la faccenda: con la carenza mondiale di sughero che sta minacciando i vini importanti, sarebbe stato da processo all’Aja sprecarlo per queste bottiglie. La Marchesina parte con una schiuma discreta, rapida a dissolversi anche se un po’ meno blitzkrieg di quella dei due spumanti successivi, ma subito l’occhio è attirato da un dettaglio così peculiare che l’ho trovato affascinante: è incolore.
La delizia frizzante è di un bel bianco trasparente, come vodka, con forse dei riflessi verdolini. Le bollicine sembrano assenti, ma levando la condensa si nota una striminzita catenella centrale e un’altra, con bolle più distanziate, a fianco. Strano. Le scarse bolle sono quantomeno adeguatamente fini, non grosse bolle da gazzosa.
L’odore è poco percepibile (ma è colpa mia, temo). Complice un po’ di raffreddore (ho tenuto questa bottiglia per ultima e nel frattempo mi sono ammalato) ho potuto percepire, con fatica, solo una vaga nota dolciastra di fruttato. Fruttato agrumato, direi, acidulo al naso. Mio fratello, annusando senza alcuna indicazione, ha avvertito un odore di pipì, per cui l’acidulo agrumato pare confermato. Direi che è carente nel bouquet. Profumo di qualità “comune”: abbiamo trovato il Ronco Sancrispino dei botti di Capodanno. In bocca il sapore è quello di una gazzosa alcolica, con una delicata punta di retrogusto amaro muovendola in bocca. Ecco, ricorda un po’ l’acqua tonica. Dolce è dolce, ma un cocktail di acqua tonica, zucchero, qualche goccia di limone e un po’ di alcool buongusto posso prepararmelo anche da solo…

EDIT 15:05, 31-12-2012
Mi è passato il raffreddore. Correggo l’analisi olfattiva in questo box: l’aroma è abbastanza intenso e l’unico sentore è un agrumato acidulo, leggermente pungente, che ricorda il limone da pasticca effervescente di un integratore o, meglio ancora, una versione più intensa e acida del Vivin C. La parte del sapore la confermo coem era prima: le stesse cose già dette, giusto una puntina più intense di come le ho sentite ieri, amarognolo incluso (e l’alcool si sente ancora di più).

L’alcool si sente, quel poco che c’è, e la bevanda come detto è dolce, ma non c’è molto altro di cui complimentarsi, visto il sapore. Quanto meno è sufficientemente morbido in bocca e abbastanza fresco da non castrare la salivazione. Un po’ di minerali ci sono, si sentono in bocca, ma non tanti. E la bocca rimane leggermente impastata subito dopo aver ingoiato. Un prodotto abbastanza equilibrato, nella sua miseria, ma poco vario di sapori e poco persistente (rimane solo un sapore di alcool). Fortunatamente, direi, vista la qualità dozzinale!
Una buona scelta per una gazzosa “alternativa”, oscena per delle bollicine in senso spumantistico.

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Che spettacolo: non pensavo potesse esistere un simile nettare…
Misteriosamente al secondo calice il perlage è stato decente.

Se l’Asti Docg Martini e il Moscato La Versa erano due graziose signorine abbottonate fino al collo che sorridevano timidamente, mentre il Moscato Duchessa Lia era una ragazza di strada, mezza nuda, che avanza spingendo su il seno con le mani, La Marchesina con il prezzo ridicolo che chiede e le sue prestazioni tutt’altro che eccelse, senza colore, inespressiva e priva di carattere, che cos’è?
Io la immagino come una signorina di una famiglia decaduta all’improvviso, con la casa in vendita da cui escono i mobili trasportati dai muscolosi scaricatori della Casa d’Aste con le ascelle pezzate, che passeggia in strada tra vecchi “amici” di famiglia che fingono di non vederla, chiedendo loro un aiuto, qualche moneta, con il sorriso composto, senza lacrime, con la dignità dello sguardo incrinata dalla balbuzie per la vergogna, come una signorina bene educata, nonostante la gonna un po’ sporca, i guanti lunghi in cui appare già un buco, la cuffia non stirata da cui escono un paio di ciuffi spettinati (la cameriera è andata via da settimane) che fanno sembrare ancora più pallida la pelle rimasta per tutta la vita lontana dal sole.
I più laidi tra voi la possono immaginare diversamente. Il sorriso timido è diventato un solco inespressivo. Gli occhi sono opachi, persi verso il muro opposto del vicolo, oltre la spalla dell’operaio che per poche monete le ha sollevato le sottane e la sta possedendo contro il muro, lasciandole con le sue sporche mani callose lividi bluastri e lunghe strisce sudice sulla pelle morbida che prima d’ora aveva di rado conosciuto il tocco del sole e mai quello di un uomo. Dopo una serie di grugniti si allontana e lei scivola inerte a sedere in mezzo al sudiciume della strada, col ventre pieno di puzzolente liquame proletario e il retro dell’abito sporco per l’attrito contro il muro. Gli occhi vuoti a malapena colgono le poche monete che le butta in terra.
Questo è ciò che alcuni di voi immaginano, massaggiandosi la patta al dopo lavoro o mentre il sindacalista li incita allo sciopero, alla rivoluzione, al dare fuoco alle abitazioni di chi ha avuto intelligenza a sufficienza per elevarsi sopra la bestialità, promettendo per premio di crocifiggerne i figli e violentarne le figlie e chi prima arraffa l’argenteria può tenersela, in nome dell’eguaglianza sociale. Lo so che lo pensate. Lo so.

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Rocca dei Forti spumanti brut e dolce, in offerta a 1,99 euro.
Pam-pa-pa-pa-pàaaa (POP!): Rocca dei Forti, bevi italiano! Così fa l’agghiacciante pubblicità che da giorni martella gli spettatori alla televisione e su YouTube (se bazzicate video sui vini). Non potevo esimermi dal provare un prodotto così a buon mercato e così diffuso, su cui molti potrebbero posare lo sguardo. Per coprire i due estremi dei gusti spumantistici più comuni ho scelto brut e dolce da uve vinificate in bianco e ho saltato la terza bottiglia disponibile (un rosso dolce a base di Sangiovese e Montepulciano).
Il brut si presenta di colore giallo paglierino, con riflessi dorati (nel video sotto sembra più dorato, ma non fidatevi). Spuma evanescente che sparisce subito, formata da bolle ampie, grossolane. Il perlage è abbastanza numeroso, abbastanza fine, ma non particolarmente persistente: dopo pochi minuti sembra quasi un vino fermo, giusto due o tre catenelle incerte con bollicine distanziate.
Abbastanza intenso al naso e sufficientemente complesso, dall’aroma fruttato (pesca, forse un pochino di mela e una puntina acida di agrumi), ma con un sentore vinoso (di alcool, di mosto) che non mi pare adattissimo a uno spumante brut. Ricorda troppo al naso un classico Chardonnay economico fermo, come se lo spumante prodotto non si fosse pienamente trasformato e portasse con se ancora troppo i sentori del vino di base impiegato. Tutto l’aroma comunque è abbastanza grezzo, mischiato, non una bella serie distinta. Nel complesso direi poco fine tendente ad abbastanza fine, sono incerto tra la sufficienza e una insufficienza moderata. Mancano la vaniglia e la crosta di pane di uno spumante Chardonnay metodo classico che ha riposato sui lieviti, essendo stato prodotto in autoclave col metodo Martinotti.

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La spuma evanescente, grossolana, del brut.

In bocca la bollicine pizzicano solo all’atto di collidere con la lingua, poi si aprono in una spuma ampia, invadente, soffusa, appena si muove un po’ il liquido in bocca per sentirne tutti i sapori. L’alcool presente (11,5%) lo rende abbastanza caldo. È secco, adeguatamente morbido e sufficientemente fresco, ma l’ho trovato poco ricco di mineralità (troppo fluido).
Poco persistente, dopo 3 secondi ogni sensazioni positiva sparisce dalla bocca con un retrogusto quasi nullo e lasciando l’impressione di aver bevuto acqua poco frizzante. Nell’insieme è poco intenso, in bocca si sente la schiuma, una vaga sensazione vinosa e stop. Abbastanza fine, ma siamo sul limite della sufficienza. Struttura debole. Abbastanza equilibrato, ma si tratta comunque di un prodotto di scarso livello, buono per chi cerca alcool frizzante e nient’altro.
Sopportabile, in fondo, ma già a metà del calice non ero proprio desideroso di finire l’altra metà. Bis? Non mi è venuta nemmeno l’idea.
Meglio o peggio del Pinot di Pinot Brut Gancia a 4,90 euro (3,40 euro con le offerte natalizie all’Iper)? Forse peggio, ma non provo il Gancia da tempo e all’ultima bevuta ancora non avevo quel minimo di esperienza per distinguere i sapori, ricordare e provare a valutare. In entrambi i casi non si tratta di spumanti da bere per il piacere: è roba buona solo per la dieta, come alternativa nella quota dei carboidrati al riso in bianco scondito, o per fare casino con i botti. E ovviamente per allenarsi nel sabrage, visto che costa meno del Gancia.
Passiamo al dolce.
Colore giallo dorato scarico che in video, con la luce elettrica, sembra più acceso. Spuma evanescente a grana grossa, sparisce subito (prendete come esempio il video del brut). Perlage abbastanza numeroso (forse lo si può indicare come “numeroso” nella definizione AIS, di sicuro ci sono più catene che nel brut), abbastanza fine e abbastanza persistente .
Abbastanza intenso al naso, ma il bouquet è poco complesso. Troviamo l’aromatico generico del Moscato, ma nessuna nota fruttata particolarmente distinguibile (una punta di erbaceo e una punta di vaga pesca, forse). Nell’insieme non è sgradevole, lo definirei sufficientemente fine, ma c’è davvero poca roba da sentire.

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Le numerose catene del Rocca dei Forti dolce.

In bocca si apre bene, è meno schiumoso del brut. Forse perché più ricco di minerali.
Poco caldo, amabile tendente al dolce (non mi è parso davvero dolce come il Martini o il Duchessa Lia), morbido, fresco, abbastanza sapido. Riguardo la dolcezza, nel dubbio di averla sentita male per via di un inizio di raffreddore, ho provato a testare dell’acqua di rubinetto zuccherata a poco meno di 10 grammi per 100 ml, i livelli di zuccheri di altri tipici spumanti dolci, e l’acqua è risultata nettamente più dolce del Rocca dei Forti, come era il Duchessa Lia. Forse qualcosa castra la sensazione zuccherina del prodotto. Boh.
Sapore poco persistente. Il poco fruttato sentito al naso sparisce, rimane solo una zuccherina frizzantezza. Muovendolo in bocca appare una nota agrumata (forse legata al moscato bianco dell’Oltrepo’ Pavese o alle malvasie?) con una spiccata nota amarognola mandorlata che si sente ancora di più a causa della dolcezza un po’ chiusa. Poco intenso, senza sciacquarlo un po’ quel sapore ulteriore nemmeno appare. Abbastanza fine, comunque. Struttura tra la sufficienza e il debole, grazie forse all’alcool non troppo leggero che lo sostiene (9,5%). Abbastanza equilibrato. Tra pro e contro, paragonabile come complessità alla bocca e al naso.
Meglio il dolce o il brut?
Da una parte un’interpretazione tristarella del glorioso moscato bianco che come sapore pare quasi un Asti Docg Martini allungato con acqua di rubinetto, dall’altra parte il primo brut che ho bevuto che in bocca mi ha fatto pensare a un cocktail ottenuto con due parti di un vino bianco economico, come lo Chardonnay di J.P. Chenet, e una parte di acqua molto frizzante. Non proprio il cocktail migliore del mondo.
Scegliete un po’ voi di che morte morire. Una bella Marchesina?

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Moscato spumante dolce Duchessa Lia, a 2,59 euro.
Data la preferenza per gli spumanti dolci in Italia per Capodanno (forse 59% delle bottiglie), ripropongo come quarta opzione il Moscato Spumante Dolce di Duchessa Lia (2,59 euro) perché permette un buon paragone con il Rocca dei Forti Dolce appena visto. Inutile ripetere il parere, lo trovate al link.
Entrambi semplici, entrambi senza pretese, ma Duchessa Lia ha sentori fruttati più chiari e pronunciati, e una dolcezza più percepibile, anche se risulta (a quanto avevo annotato) più fluido in bocca e sensibilmente più povero di alcool (6,5% contro 9,5%). Ma in fondo in nessuno dei due casi l’alcool fornisce particolari vantaggi di struttura, sono entrambi prodottini deboli, semplici, da bere così come sono (forse il Rocca dei Forti è un pochino meno debole). In fondo non stiamo parlando di rossi a confronto, valutando chi possa maturare di più e diventare migliore tra cinque, otto o dieci anni in cantina. Questi sono prodotti giovani da aprire e bere prima che si rovinino, possibilmente entro due anni dall’imbottigliamento (ma è solo una regola molto indicativa, giusto per far capire di non tenerli dieci anni in un armadio).
Tra i due preferisco il Duchessa Lia, più fruttato, perché rende maggiore giustizia al concetto di spumante dolce partendo dal moscato bianco ed evita quella nota amarognola piuttosto importante, seppure nascosta (per chi non vuole sentirla: mandate giù dritto dalla punta della lingua alla gola, senza fermarvi ad assaporare).
Il fruttato, soprattutto in un prodotto dolce, è un elemento fondamentale. Motivo per cui i classici vini faciloni che piacciono a tutti, appassionati e quasi astemi, sono spesso quelli dolci e intensamente fruttati. Il fruttato non è tutto, ma aiuta molto.
Attenzione, non sto criticando la qualità (il Ben Ryé di Donnafugata è uno zibibbo straordinario, con note chiarissime di confettura di albicocche, caramello, miele, vaniglia): sto solo constatando le diverse tipicità. I vini secchi, con un’importante struttura di tannini del legno arrotondati dalla maturazione, con aromi dominanti più complessi come cuoio, tabacco, pepe ecc… sono apprezzati maggiormente dagli appassionati che cercano qualcosa di più ricco. Probabilmente anche perché il “gioco” di riconoscere i sapori diversi dalla frutta è fattibile solo avendo un minimo di esperienza.
Infatti a me che sono un tontolone ottocentesco coi baffi a manubrio piace di più il dolce Moscadello di Montalcino rispetto al Brunello.
E ora il bonus…

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Max Müller Thurgau – Durello spumante brut, a 4,80 euro.
Spumante prodotto con metodo Martinotti da uve aromatiche Müller Thurgau (e aggiunta di Durello, uva ricca di acidi adatta agli spumanti), con una delicata fermentazione in autoclave. Il metodo più adatto per preservare i sentori tipici di simili uve. Si tratta in generale di un buon prodotto della Cantina di Soave (casa fondata nel 1898), ottimo in rapporto al prezzo basso che chiede. Dopo averlo assaggiato ho cercato un po’ di informazioni e ho scoperto che effettivamente è riuscito a ottenere 3 stelle e mezza su 5 su Sparkle Bere Spumante 2012 e se il voto è giusto questo lo collocherebbe nella stessa fascia di “buoni economici” del Moscato La Versa e dell’Asti Docg Sigillo blu di Martini & Rossi. Preciso che per principio non leggo mai pareri di altri prima di degustare e la mia prassi è questa: provo il vino; compilo appunti sulla degustazione; leggo pareri di altri e li incollo nella scheda del prodotto; riprovo cercando di cogliere ciò che non ho distinto subito (sensazioni in più a cui non sapevo dare un nome) e se lo trovo aggiungo le nota negli appunti altrimenti segno di non aver sentito affatto quanto indicato (e aggiungo se mi pare che il recensore abbia detto una castroneria in stile “sella di cavallo sudato” per farsi bello con i lettori, nel caso).
Dal mio punto di vista, mi pare un voto giusto e lo considero un prodotto che merita di venire consigliato a chi non ha 10 euro per una bottiglia migliore.
Il colore è giallo paglierino scarico con dei riflessi verdolini. Più paglierino che verdolino, se proprio devo precisare, ma i riflessi proseccosi e giovani ci sono e si notano. Bollicine abbastanza fini con alcune fini, numerose e persistenti. Un peccato non averlo filmato. La spuma svanisce 5-6 secondi dopo averlo versato e non rimane nemmeno una corona, solo catene di bollicine.
Aroma abbastanza intenso (si sente bene avvicinando il naso, ma non salta certo addosso a mezzo metro dal bicchiere), abbastanza complesso, adeguatamente fine. Su tutto domina il fruttato sotto forma di una sensazione marcata di giovane mela a pasta bianca, croccante, con un’aggiunta di erbaceo (non so identificarlo) unito a una punta delicata di floreale generico. Simile a un Prosecco serio, insomma.
In bocca è secco, abbbastanza caldo, abbastanza morbido, abbastanza fresco e abbastanza sapido. Tutto adeguato, senza punte di eccellenza e senza carenze, in modo equilibrato. Il meglio non è tanto nelle sue doti tecniche, ma nel gusto: in bocca la mela diventa ancora più intensa, come avere la polpa del frutto in bocca subito prima di ingoiare, e si unisce inaspettata una sensazione di pesca gialla, in modo elegante.
Sapore equilibrato e intenso. Persistente, il sapore piacevole della mela supera di poco i sette secondi dopo aver deglutito. Rispetto ai due Rocca dei Forti, siamo su un altro pianeta qualitativo. Nell’insieme direi che è abbastanza fine ed è meglio in bocca che al naso.
Tutto sommato un buon prodotto. Non so valutarlo in rapporto agli altri Müller Thurgau (è il primo che bevo spumantizzato in abbinamento al Durello e dei fermi ricordo sapori completamente diversi, in comune solo la pesca), ma posso dire che il forte sentore di mela lo pone più come “concorrente” di un Prosecco che di uno spumante a base di Chardonnay e Pinot. Ognuno valuti in base ai suoi gusti se questo è bene o male. Per me è bene, mi piace sentire la mela.
Buon anno nuovo: finito questo 1912 all’insegna dell’apocalisse Maya, puntualmente giunta, e del Titanic, puntualmente affondato, ci aspetta un 1913 certamente interessante e poi un 1914 che, lo sospetto, non sarà privo di avvenimenti degni di nota.

Asti_lo_spumante_siempre

 

5 Replies to “Spumanti molto economici per iniziare l'anno”

  1. Ho aggiunto nell’articolo un box di correzione sull’analisi de La Marchesina:

    EDIT 15:05, 31-12-2012
    Mi è passato il raffreddore. Correggo l’analisi olfattiva in questo box: l’aroma è abbastanza intenso e l’unico sentore è un agrumato acidulo, leggermente pungente, che ricorda il limone da pasticca effervescente di un integratore o, meglio ancora, una versione più intensa e acida del Vivin C. La parte del sapore la confermo coem era prima: le stesse cose già dette, giusto una puntina più intense di come le ho sentite ieri, amarognolo incluso (e l’alcool si sente ancora di più).

  2. Non posso che confermare quanto affermato riguardo all’Africa sublaziale e all’evoluzione del sottoscritto.
    Ahimè stasera non potrò bere proprio nulla ché mi sposto in macchina e la sbirranza è ovunque. Ma farò tesoro di queste informazioni almeno per l’Epifania.
    Pensare ai russi che bevono spumante mi fa ridere, lol.

  3. Mi è passato il raffreddore.

    Ottimo inizio d’anno nuovo.
    Approfitto del post per gli auguri di rito.
    Ci vediamo nel 2013.

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