San Valentino, festa che vorrebbe essere dedicata a un alto sentimento, quello dell’Amore, e si riduce a rito consumista per relazioni altrettanto consumiste, coppie instabili unite dalla pulsione a fornicare, come cani in strada, da cui i commercianti e i ristoratori (senza considerare gli albergatori) traggono profitto in un trionfo dello sperpero, della superficialità dei sentimenti, che ha il suo apice nella bestiale emissioni di fluidi disgustosi.
È questo Amore, un colare di muco genetico a macchiare le lenzuola o sputato nel lavandino?
No, l’Amore è un sentimento più elevato.
Per questo vi invito a dividere in due aspetti ben diversi la festa di San Valentino: da una parte la triste attività fornicatrice, svuotata di senso, come animali, che consumerete con la vostra o il vostro partner senza sapere se “l’eterno amore” sarà ancora tale il mese dopo; dall’altra parte tutto l’opposto, autentico Amore puro svuotato di ogni bestialità emissiva, di ogni fornicante onanismo, di ogni miserabile copula… brindare all’autentico sentimento di Amore eterno che ha per Lei ogni fan di Gamberetta, maschio o (preferibilmente) femmina che sia.
Sul dovere di brindare a Gamberetta ha concordato anche una lettrice:
Sono d’accordissimo, renderebbe un minimo di spiritualità a una festa commerciale per amoretti effimeri e superficiali ù_ù
(Clio)
Non voglio dilungarmi troppo: darò una sommaria descrizione di alcuni spumanti rosé che è possibile comprare presso i supermercati e due che si possono trovare in enoteca. Comunque ogni enoteca è radicalmente diversa dalle altre, è giusto per dire che quei due è più difficile che siano negli scaffali della GDO. Ho scelto prodotti diversi e di aree geografiche diverse, nella speranza che almeno uno incontri il gusto e la possibilità di spesa di ogni lettore.
Esclusi quelli che per problemi economici ripiegheranno sulla Peroni da 66 cl, sul tetrapak dell’Acinello o sul lambrusco frizzante da 2 euro, ma la Dea nella sua infinita misericordia sono sicuro che accetterà anche il brindisi dei più poveri.
A fine articolo presenterò un video per mostrare la spuma e il perlage dei vari vini trattati, esclusi Gancia e Villa, e far vedere meglio le bottiglie per aiutare a identificarle più rapidamente al supermercato.
Gamberetta, in una delle sue raffigurazioni accettate dal culto, mentre difende la Narrativa dai suoi nemici eseguendo la Mystic Arte “Ultimate Line Editing” sulla prima pagina di un fantatrash, rilevando 35 errori e infliggendo all’autore 13457 danni. L’autore muore devastato dal Giudizio Divino sulle sue mancanze… ma non mancherà ai lettori con un QI a tre cifre.
Spumanti consigliati
Cantine Maschio Rosé Extra Dry (3,29 euro).
Cominciamo proprio con un prodotto adatto a chi ha pochi soldi che ricorda per la sua natura beverina un prosecchino da 3-4 euro. È un prodotto a base di uve pinot bianco, pinot nero e raboso, leggermente rosato (di un delicatissimo rosa tenue molto scarico).
Il perlage è abbastanza fine e abbastanza numeroso: in un calice Prosecco o nel nuovo Franciacorta fa la sua bella dose di catenelle che mette allegria e apre i profumi. Il profumo poco complesso, ma sufficientemente intenso ricorda bene la fragola, con un generico floreale puntato verso la rosa e una nota dolce soffusa con una punta acida di lampone… in pratica è come se fosse un prosecchino virato dalla mela verso la fragola.
In bocca non ha nulla che non vada ed è fresco, l’acidità fa il suo lavoro stimolando la salivazione. Meglio berlo alla giusta temperatura da prosecco di struttura debole, circa 4-6 gradi, per renderlo più beverino: il fresco aiuterò ad alzare le durezze, compensando la scarsa quantità di minerali presenti e bilanciando l’effetto ammorbidente degli zuccheri. Ricordate che Extra Dry è leggermente più dolce di Brut e di norma sta bene sui prodotti di cui esaltare semplici note fruttate o compensare la forte acidità (il tipico Prosecco è più facilmente Extra Dry che Brut, il tipico Franciacorta l’opposto).
Piccola nota a tema temperatura: molti spumanti attuali essendo dotati di strutture più complesse di un prosecchino supereconomico e di profumi più ampi soffrono a essere serviti quasi “ghiacciati”, 2-3 gradi (da sabrage in pratica), brutta abitudine che ha rovinato tanti eccellenti Champagne. Meglio stare sugli 8-10 gradi per goderli al meglio della loro complessità. Il mio frigo a regime normale fa 7-8 gradi: metto dentro la bottiglia di sera e il giorno dopo è pronta.
Lo ricomprerò, è il mio nuovo spumantino rosé super-economico preferito, da alternare ai vari prosecchi sui 4-5 euro. Se proprio siete a corto di soldi per il brindisi, comprate questo e non vi deluderà.
Pinot di Pinot Rosé Gancia (4,99 euro).
Questo devo metterlo per dissuadere dall’acquisto, visto quanto è facile trovarlo nei supermercati. Prodotto solo con uve pinot, bianche e nere. Colore teoricamente “rosa tenue”, in realtà molto più tendente al rosso che al rosa nelle nuove bottiglie trasparenti (ramato?) oppure verso un giallo aranciato-ambrato (vecchie bottiglie scure).
Spuma cremosa che sparisce rapidamente. Perlage adeguato nei vari parametri, ma con un difetto di fondo: risulta molto incostante. Al primo calice era adeguato in ogni aspetto, ma al secondo calice solo un’ora dopo le bollicine erano già fortemente diminuite per numero e persistenza, tanto da sembrare un vino fermo se non si guardava con grande attenzione. Lo stesso problema lo avevo notato mesi prima, quando al primo calice fu quasi come un vino fermo e al secondo fece bollicine adeguate. È come se la sua struttura gli rendesse difficile aprirsi, se non in situazioni ottimali (sto sempre attento a pulire i bicchieri e non ho mai problemi con i prodotti ben fatti, anche di prezzo basso).
Il profumo è addirittura meno godibile di quello del Maschio prima: la nota di floreale e di fragola è intrappolata in una idea di pesantezza che è il principale difetto del prodotto. In bocca non vi sono difetti evidenti, ma non brilla certo per finezza. Risulta un po’ pesante e acidulo nello stomaco (ma senza risultare straordinariamente fresco in bocca). Manca la leggerezza briosa di uno spumante.
Un calice si beve, ma all’idea del secondo passa la voglia: forse il solo pinot, lavorato in modo economico e puntando al rosa macerando in parte le bucce, ha dato troppa struttura? Sembra più un vino rosato frizzante pesantello che uno spumante pieno d’allegria. E infatti l’ho goduto bene con una pasta col pesce molto condita e altri piatti, come se fosse un vino da tavola capace di tenere a bada anche sapori forti e il piccante, mentre a digiuno mi si è stroncato due volte in pancia.
Completamente inadatto a un brindisi gioioso per Lei.
E sconfitto come “spumante da tavola” dal più allegro Maschio Rosé.
Come ve lo vorrebbero spacciare e come è davvero.
E come era più ambrato quando usciva dalle vecchie bottiglie verdi.
Il Calepino Brut Rosé (8,85 euro).
Un rosé bergamasco famoso, di un’azienda premiata per la qualità dei suoi spumanti dal Gambero Rosso (è a tema, no?). Gli spumanti de Il Calepino sono famosi per due cose: il terreno su cui si trovano i vigneti è geologicamente come quello della Franciacorta, garantendo una situazionale ideale per gli spumanti, e costano davvero poco (anche perché… non possono usare il nome Franciacorta!). Pensate che il Riserva di Fra Ambrogio, uno spumante serio e dal sapore complesso che sta 60 mesi sui lieviti (5 ANNI di fermentazione in bottiglia, più il resto della lavorazione), costa solo 12-13 euro. Se potessero scrivere “Franciacorta docg” magari lo venderebbero a non meno di 22 euro senza perdere una sola vendita. E questo Brut Rosé a 12 euro come il rosé base di Ferrari.
Bel colore rosa pastello (tecnicamente rosa tenue) come la Sua chioma. Nel video sembra più ambrato, ma è colpa prima della luce ambientale e dello sfondo. La spuma è cremosa, di bell’aspetto, ma evanescente (dura 10 secondi nel video). Il perlage è eccellente: bollicine in gran parte fini, molto numerose e nel complesso persistente. Un gradevole spettacolo. Peccato non averlo ripreso anche nel calice Franciacorta!
Il profumo è sufficientemente intenso, ma è un po’ delicato. Nessuna nota negativa nei profumi, adeguatamente fini (pur senza eccellenze) e abbastanza complessi, forse tendenti al complesso. È molto più difficile valutare rispetto a un vino fermo con cui si può fare il giochino di muovere il vino e vedere quanto e come cambia. La prima cosa che mi ha stupito è la totale mancanza della “fragola”, profumo che speravo di trovare: le note fruttate ricordano l’acidità dell’agrume, con una punta di esotico del kiwii, assieme a un’idea di acidità da lampone unita all’amarognolo della nocciola. Ovviamente seguono note floreali e la gradevole sensazione fragrante di crosta di pane che i 24 mesi di fermentazione sui lieviti hanno lasciato.
In bocca ha tutti i parametri nella norma: secco, abbastanza caldo (se fosse un vino fermo con 13% facilmente sarebbe stato “caldo”), abbastanza morbido, fresco, abbastanza sapido. Il sapore ricorda frutta di buona acidità, agrumi e frutti di bosco rossi, con una nota amara finale di nocciola. Un po’ sempre l’idea del kiwii ritorna, vagamente, ma forse è una mia sovrapposizione di altre sensazioni che mi ritorna in mente. Gusto persistente dopo aver ingoiato, 7-8 secondi di sapori intensi, poi rimangono a lungo più delicati. Più intenso nel sapore che negli aromi. Sapore elegante.
Per verificare la nota amarognola di nocciola (invece che di mandorla o di altro), ho mangiano una nocciola dopo essermi sciacquato la bocca e la nota amara finale è stata identica. L’assenza della fragola e la forte acidità del fruttato non lo rendono la mia scelta ideale per brindare a Gamberetta, ma il colore è adeguato e il sapore, in fondo, è questione di gusti. Lo ricomprerò di sicuro, visto anche il prezzo davvero competitivo per un 24 mesi ben fatto.
Il Calepino, premiato dal Gambero Rosso. Un’eccellenza vitivinicola bergamasca.
Franciacorta DOCG, Berlucchi Cuvée Imperiale Max Rosé Extra Dry (10,80 euro)
Questo è stato il primo spumante rosé d’Italia, nato in Franciacorta per volontà del creatore dell’azienda che fondò la Franciacorta, Guido Berlucchi. Il progetto Max Rosé nacque nel 1962 (festeggiò i 50 anni a fine 2012) su sollecita richiesta di Max Imbert, un antiquario milanese appassionato di Champagne Rosé, amico di Guido Berlucchi. All’epoca non esistevano “Champagne” Rosé in Italia (all’epoca si potevano ancora chiamare Champagne, oggi è giustamente vietato) per cui Max doveva andare in Francia a procurarseli! Franco Ziliani, l’enologo cofondatore della Berlucchi nel 1955, vide che la cosa era fattibile e nell’ottobre 1962 convince Guido Berlucchi a soddisfare la richiesta, dando il nome di Max al nuovo spumante (ora da indicare preferibilmente col nome “Franciacorta” invece che col generico spumante/bollicine, come si indica “Champagne” lo spumante della regione omonima).
Il Max Rosé è un prodotto di ottimo livello, maturato 24 mesi sui lieviti, con un rapporto qualità-prezzo elevatissimo, che può piacere anche a chi pretende (giustamente) un minimo di 50% di pinot nero nonostante ne abbia solo il 40% (il restante 60% è chardonnay per dare acidità ed eleganza). Su cinque milioni di bottiglie annuali prodotte di Berlucchi, 500.000 sono di Max Rosé. Nel primo anno di “produzione”, il 1961, c’erano solo 3.000 bottiglie. Dati presi da Bibenda.
Nel calice si presenta di un bel rosa tenue, ma proprio rosa-rosa pastello, non uno di quei rosé rossicci o ambrati. Un colore splendido, come quello della Sua chioma, che mette subito allegria e invoglia a immergersi nel suo delizioso profumo. La spuma è cremosa, ma non particolarmente durevole (mi pare 6 secondi sul video). Il perlage è fine, persistente e molto numeroso. Un torrente delizioso di bollicine che fa “ribollire” la superficie. L’aroma è elegante e delicato, ma sufficientemente intenso per poterlo percepire perfettamente anche in abbinamento a del cibo.
Il bouquet non è particolarmente vasto, ma esalta pochi elementi specifici creando un’idea complessiva che ho trovato affascinante. Il profumo principale è quello di piccoli frutti rossi, in particolare fragole mature e una punta di acidità di lamponi, segue forte e chiaro il sentore di crosta di pane, i fiori (rose, credo) e la frutta secca (mandorla, sono sicuro, ho verificato). Il tutto nella soffusa dolcezza, non invasiva, di un Extra Dry (15 grammi/litro di zucchero, circa il doppio di un Brut moderno). Dolcezza più fragole mature più crosta di pane più punta di acidità più mandorla… ed ecco che l’insieme evoca un ricordo di crostata di fragole.
Ricordo delicato, ovviamente, ma chiaro: quando ho suggerito l’idea ad alcune persone NON appassionate di vino, hanno subito concordato che era quello il profumo. Considerate che quando un vino ha un profumo di intensità forte come l’elemento originale che richiama di solito è indicato come “molto intenso”… per esempio la marmellata di albicocche o pesche in un passito di Pantelleria.
In bocca l’amabilità degli zuccheri costruisce una delicata e morbida dolcezza. La morbidezza in sé (come valore da scheda AIS) non è alta, ma gli zuccheri dosati in modo perfetto la fanno sembrare maggiore. Non è zucchero in più “perché sì”, per faciloneria: è una scelta di rinunciare al Brut, più di moda, per costruire un progetto gusto-olfattivo che esalti al meglio tutto l’insieme, riuscendo così a mantenere il prezzo “popolare” (gli altri Rosé di Berlucchi infatti sono molto più costosi e sono Brut).
Tornano in bocca gli aromi di frutta di bosco fresca, fragola e mandorla, come al naso. Esaltate da una mineralità importante che denota una ricchezza di sostanze estrattive e una struttura solida, senza divenire pesante. Non si riduce a spuma e non pizzica troppo, si muove in bocca elegante e leggero, mantenendo la liquidità originale.
Il sapore è molto persistente, è fine ed è equilibrato. Potrebbe essere ancora più elegante, più saporito e più armonico, ma già così fa un ottimo lavoro.
Quando l’ho bevuto la prima volta mi ha stupito.
È esattamente ciò che cercavo in un rosé: eleganza, profumo di fragola, bollicine belle e numerosissime senza essere fastidiose in bocca, un color rosa pastello chiaro PERFETTO senza compromessi verso il rosso… e un prezzo basso, perfino più basso di altri ottimi rosé base come quello di Ferrari o il Tridentum di Cesarini Sforza. Questo è il Franciacorta che amo e che voglio bere “regolarmente” quando non devo sperimentare bottiglie nuove e mi va di buttarmi su un rosa sicuro che sia una garanzia di piacere, sia abbinato al cibo che da meditazione. Testato su pane bianco con abbondante prosciutto crudo piuttosto salato e maionese: non ha perso una nota di sapore. In difficoltà solo con il prosciutto crudo da solo, tagliato a fette spesse come bistecche.
Max Rosé esprime un dolce, elegante, profumo di fragole.
Trento DOC, Cantine Ferrari Rosé Brut (11,90 euro)
Un rosé di una storica cantina, la Ferrari, che iniziò l’esperienza delle peculiari bollicine “d’alta quota” nel lontano 1902, ben 53 anni prima che iniziasse l’attività spumantistica franciacortina (e considerando che il 1902 era 11 anni fa, ho problemi a far tornare i conti). Ancora oggi, dopo due guerre mondiali e la caduta dell’Impero Austro-Ungarico in cui nacque, Ferrari è ancora il produttore simbolo di quei peculiari spumanti “alpini” un tempo chiamati tutti Champagne e ormai denominati orgogliosamente Trento o Trentodoc (tutto attaccato).
In questo caso ci troviamo di fronte a un rosé più ortodosso, al 60% fatto con pinot nero (contro il 40% del Max Rosé), e lasciato a maturare sui lieviti per non meno di 24 mesi (come il precedente Max Rosé).
Il colore è un bel rosa tenue pastello, come nel Max Rosé. Il perlage mi è parso inferiore per bellezza visiva: bollicine fini, ma meno numerose. Però c’è un punto di forza visivo che nessun altro spumante trattato in questo articolo ha: una spuma cremosa, alta, densa che dura ben 30 secondi nel video fatto! Contro i 6 secondi del Max Rosé. Tutta un’altra spuma!
L’aroma è fine, con intensità e complessità adeguate. L’aroma si apre con una soffusa idea di fragoline e altri piccoli frutti di bosco rossi, fiori, fragrante di crosta di pane e un bel nerbo minerale che punzecchia il naso.
In bocca è secco (brut), fresco e ricco di sali minerali. Sapore elegante con una nota dominante saporita di minerale salinità di montagna e delicata frutta secca (mandorla?). Dopo aver ingoiato rimane la “salinità” accompagnata da una sentore di fragoline ritornato. Persistente.
Un prodotto base di alto livello che merita il prezzo che chiede, senza problemi, e che può piacere a tutti come può piacere il Max Rosé, pur avendo note gusto-olfattive diverse. Diciamo che per chi predilige i Pas Dosé (zero zuccheri) e vorrebbe lo stesso un sentore di fragola sarà meglio puntare a questo Brut, mentre per chi ha gusti più legati alla dolcezza, più normali, è preferibile il Max Rosé.
Particolarmente consigliato ai nostalgici del governo Austro-Ungarico che vorranno brindare alla Dea con una lacrimuccia per l’Impero perduto.
Masseria Frattasi Prestige Rosée Extra Dry (17 euro)
Dal Trentino alla Campania, dal Manzanarre al Reno, ecco uno spumante dalla provincia di Benevento. Un prodotto che ho pensato di aggiungere come segno di armonia, unità nazionale sotto il Piemonte e distensione verso i nostri negri fratelli italiani dell’Africa Sublaziale. Questo spumante mi è stato caldamente consigliato in enoteca per provare qualcosa di prezzo contenuto e capace di evocare sensazioni molto diverse dagli altri rosé. Effettivamente questo spumante, prodotto in appena 5000 bottiglie l’anno e fermentato in autoclave secondo il metodo Martinotti (i tre precedenti erano “metodo classico”, fermentati in bottiglia secondo la tradizione dello Champagne), ha la peculiarità di essere fatto in purezza con uve aglianico.
Il colore è rosa cerasuolo carico, quindi ben più rossiccio del rosa tenue (in parole povere: rosso pastello e trasparente, brillante). Il perlage nel calice standard è numeroso, fine e persistente (non ho provato con il calice Franciacorta, mea culpa). Così fine che nel rosso tanto intenso era facile vederlo, ma quasi impossibile catturare le bollicine con il mio misero smartphone. Ho fatto il possibile per far vedere qualcosa.
Il profumo è intenso e fine, il bouquet sufficientemente complesso. Su tutto domina un profumo di frutta esotica, circondata di note floreali. Continuava a venirmi in mente la papaya, non so perché, ma penso che non sia la descrizione giusta. È deliziosamente aromatico, molto peculiare, e l’odore credo che si possa descrivere come una combinazione di floreale, fruttato (papaya candita, lampone e soprattutto anguria) e una punta di fagioli di soia bolliti, quelli venduti in scatola.
In bocca è ben fatto, come il Max Rosé: sapido e fresco, abboccato come dose di zuccheri, abbastanza morbido e abbastanza caldo come alcool.
Peculiare e indice di qualità (equilibrato e armonico) il fatto che sia UGUALE in bocca e al naso, si aggiunge solo una leggera nota amara che mi ricorda i fagioli di soia bolliti. Giusto per far capire che non sparo cazzate (perché per primo non mi fido dei collegamenti che il mio cervello fa tra oggetti e profumi), di fronte a una sensazione così strana ho subito aperto una confezione di soia Valfrutta e ho controllato la nota d’odore e, soprattutto, il retrogusto amarognolo. Identico: posso confermare che non è l’amarognolo della mandorla o della nocciola!
Un acquisto di cui sono felice, ma l’esperienza iniziale è stata abbastanza traumatizzante. Non riuscivo a ricollegare il profumo a qualcosa, nonostante fosse CHIARO che era un profumo fruttato che avevo sentito migliaia di volte. Pensavo a combinazioni possibili, senza uscirne. Era come avere una parola sulla punta della lingua e rimanere come scemi senza riuscire proprio a dirla.
Se siete africani sublaziali e riuscite a trovarlo, magari perché abitate in zona, ve lo consiglio per brindare con un vino che ricorda l’anguria, frutto di cui i negri sono particolarmente ghiotti. Al primo calice sentirete i rimbalzi della pallacanestro. Al secondo i tamburi della giungla nera. Bevibile anche se siete ariani in cerca di esperienze esotiche: il metodo di fermentazione nordico vi eviterà contaminazioni negroidi. In caso sentiate desiderio di pollo fritto e anguria, un bel bicchiere di piemontese Moscato d’Asti vi rimetterà il boja fauss in bocca. ^_^
Bisogna pensare ai gusti dei connazionali negri del Sud.
Il Piemonte ha il dovere di renderli bianchi con la civiltà e lo spumante!
Santero Villa Jolanda Moscato Rosé Dolce (6,80 euro)
Questo è un po’ l’intruso della situazione. Attratto dalla bottiglia elegante, festosa, rigata come se fosse stata sparata da un fucile, ho erroneamente sperato che il colore rosato e l’elevata dolcezza avrebbero diretto il sapore verso una fragola intensa, come se fosse un Brachetto d’Acqui, però con un colore più adatto al brindisi rosé che immaginavo. Non avevo considerato che il moscato avrebbe spinto verso aromi e sapori più erbacei… da uve moscato, appunto.
Il colore è difficile da definire: direi un rosa cerasuolo scarico, con unghia quasi incolore, che con luce naturale evoca sfumature più verso l’arancio ambrato (un miele?) che verso il rosso. Perlage fine, abbastanza numeroso e abbastanza persistente. Spuma adeguata, ma che sparisce velocemente.
Profumo tutto nella norma per intensità, finezza e ampiezza. Più che fruttato ha un profumo moscato caratteristico erbaceo di salvia e una punta di speziato di cannella, in cui più che i frutti si riconosce una sensazione di miele e di floreale, forse descrivibile come un agrumato di fiori d’arancio e miele d’arancio.
In bocca è poco caldo (9,5%) ed è dolce. Nessun difetto e nessun punto di forza negli altri valori. Di positivo posso dire che il sapore è persistente (direi quasi 10 secondi pieni, poi rimane ancora a lungo ma più vago). Non è particolarmente elegante, ma non è nemmeno troppo grezzo.
Non mi pento dell’acquisto e potrei anche ricomprarlo nel corso dell’anno, ma non mi sento di consigliarlo per questa occasione.
Non sono gli aromi o il colore che immaginavo per Lei, spiacente.
Franciacorta DOCG, Villa Rosè Demi-Sec (22 euro)
Un grande prodotto di una grande casa della Franciacorta, Villa. Scoperto in enoteca (Lunetta, in centro a Bergamo) su consiglio della commessa, una collega corsista che mi ha riconosciuto perché sedevo sempre davanti a lei al primo livello del corso per sommelier AIS Bergamo (come al solito quando i posti sono liberi si tende a mettersi sempre negli stessi). Strano, non sono facile da riconoscere…
Un consiglio eccellente, tanto che pochi giorni dopo sono tornato per comprare un ottimo stopper per spumanti marchiato “Villa”. Sono diventato un fan di Villa dopo tre prodotti (oltre a questo il Brut, provato al corso, e il Diamant Pas Dosé, elegantissimo e davvero ben fatto, seppure io non ami affatto i Pas Dosé).
Questo Rosè (imitando l’accento scelto da Villa) forse farà storcere la bocca ai puristi, avendo solo un 30% di pinot nero. Anche il suo essere Demi-Sec (fascia dei 33-50 grammi/litro), in un mondo che viaggia sempre più in direzione di Extra Brut e Pas Dosé, lo rende un prodotto più adatto a persone con gusti di cento anni fa.
Un bel color rosa tenue (ma più rossiccio di un rosa pastello), brillante. Bollicine abbastanza numerosi e fini: nel calice standard da degustazione nessun torrente di bolle, ma comunque una quantità dignitosa e fatte bene, persistenti. Aroma intenso, elegante, in cui si mischia lo speziato e il fruttato dando l’idea di una soffusa fragola dolce vanigliata, che chiude fragrante ricordando sensazioni di crosta di pane (in questo caso ha fatto non meno di 30 mesi sui lieviti prima della sboccatura).
In bocca è abbastanza caldo, ma è anche morbido, amabile (non è dolce come un Asti o un Moscato che viaggiano sui 50-100 grammi/litro), fresco, sapido (fa venire voglia di masticare), intenso ed equilibrato. La stessa elegante, soffusa e prolungata, femminile fragola vanigliata di prima si ritrova identica in bocca.
Persistente, le sensazioni piacevoli perdurano ben oltre dieci secondi dopo aver deglutito. Un Franciacorta fine e armonico per amanti della dolcezza e della fragola alla ricerca di un prodotto che ha l’eleganza femminile di una fanciulla timida, dolce e aristocratica. Forse anche troppo timida: avrei preferito sapori un pochino più decisi e bollicine più vigorose per aprire gli aromi (più simile al Max Rosé, ma senza sacrificare l’eleganza).
E infatti ci sono anche delle note “negative” (molto tra virgolette).
Essendo un Demi-Sec è meno abbinabile col cibo, in particolare per la sua grande e delicata eleganza. Lo vedo bene con la pasticceria secca, ma non concordo con la scheda ufficiale che consiglia anche culatello e formaggi a media stagionatura. Ha un’eleganza così femminea che secondo me ogni cibo più forte della pasticceria secca senza creme rischia di guastarlo. Non è versatile e deciso come il “meno elegante” Max Rosé. Lo vedo, e l’ho gustato, come un vino da meditazione. Un calice a sera, meditando sulla bontà e sulla bellezza della nostra rosea Dea.
Villa Rosè Demi-Sec, lo potete comprare online a 16,49 euro qui.
Maschio, Berlucchi, Ferrari, Villa… o un Brachetto d’Acqui?
Rimaniamo in ambito “fragola” e facciamo una riflessione semplice. Per chi cerca un ricco sapore di fragola più burrascoso e gioioso, spruzzato d’aroma di rose, consiglio un classico Brachetto d’Acqui a 9-11 euro da supermercato: Araldica è buono, lo è anche Bersano, malaccio non deve essere Duchessa Lia.
Nel dubbio leggete se l’etichetta cita la fragola. Non sarà un rosé, sarà uno spumante con un bel rosso carico e scuro, ma facilmente piacerà un po’ a tutti (e ce ne sono anche di eccellenti a prezzi superiori in enoteca).
Ma si tratta di qualcosa di diverso da un Trento o un Franciacorta.
Antropomorfizziamole. Il Brachetto da 10 euro sarebbe come una briosa demimondaine che si scatena a far baldoria. Il Villa è una signorina di classe, giusto un po’ troppo irregimentata, che pretende rispetto e risponde con misurati gesti femminili carichi di grazia ed eleganza. Il Max Rosé pure è un signorina di classe, ma più alla mano e decisa, capace di tenere testa rispondendo a tono a chi la contrasta (il sapore del cibo), invece di chiudersi in un infastidito silenzio. Ferrari è la cugina alpina del Max Rosé, con quelle note più minerali che me la fanno immaginare con vestiti più semplici a fare alpinismo e lunghe passeggiate nella natura. Maschio invece è la ragazza un po’ goffa, impacciata, non abituata a comportarsi in società, che si fa subito notare nel resto del gruppo: d’altronde si è evoluta in comunità col metodo Martinotti, come dire che è andata in collegio mentre le altre tre hanno avuto l’educatore privato in casa!
Cosa sceglierò io?
Ho già pronta una bottiglia di Max Rosé. L’ho scelto non solo per gli aromi, che mi fanno pensare a Lei, e per il colore pressoché perfetto: ritengo che rappresenti bene la precisione e la decisione della nostra Dea, una ragazza che sa quello che vuole. La nostra Dea è una fanciulla elegante che nel momento del bisogno, se offesa, invece del silenzio e di coprirsi il volto col ventaglio preferisce menare una botta col bokken sul cranio del disgraziato di turno.
In più il Max Rosé ha un costo contenuto e il più elevato rapporto qualità-prezzo e so che la nostra Dea detesta gli sprechi e ha sempre un occhio di riguardo per i proletari (esclusi quelli sbavanti che si massaggiano il pacco fissandola mentre prende il tè, per quelli ci sono le manganellate della pubblica sicurezza).
Brindate anche voi a Gamberetta, per San Valentino, e se vi va fate una foto dell’evento e linkatela nei commenti. O brindate e basta e scrivetemi con cosa. ^_^
Alternativa ulteriore che può piacere a molte ragazze e piace anche a Gamberetta: brindare con la vodka alla fragola. O anche con il fragolino, inteso come il moderno vino “aromatizzato” alla fragola (anche quelli con la bottiglia con dentro uno strato di fragoline di bosco).
Ovviamente la foto da linkare nei commenti è gradita.
Duca, domani mio fratello arriva portando bottiglie di eccellente Zubrowka aromatizzata al pisc… all’erba di bisonte. Posso brindare con quella, in memoria del giorno in cui Gamberetta afferrò per i minuscoli testicoli l’autore de “arbusti elfici” e lo scaraventò nell’abisso del fantatrash ove è tuttora conficcato capo all’ingiù, orrido re infernale della pessima prosa?
Sì. La Dea ne sarà compiaciuta.
Io comunque a San Valentino sono un anno più vecchio :/ opterò per un rosso da osteria. Altro che rosé.
Ora come la mettiamo con le aspettative che hai generato Duca?
Se Alberello il 14 non si presenta al mio cospetto con un rosé all’altezza, verrà prontamente scaraventato fuori di casa!
P.s: stupenda colonna sonora.
Ora un esempio di line editing che agisce anche a livello di content liberando il vero significato che si cela nel tuo animo:
Molto meglio.
Mi sarebbe piaciuto mettere un Oltrepò Pavese e un Alta Langa, al posto del moscato dolce, per rappresentare altre due prestigiose aree di spumantizzazione, ma quando sono andato nella mie enoteca preferita erano giorni di pulizie/rinnovi e c’era poco (ho preso quel campano).
E nell’altra enoteca avevo già visto che non c’erano (solo Champagne e Franciacorta, rosé).
In particolare per l’Oltrepò Pavese pensavo a un “cruasé” (come amano definirsi, il Cru del Rosé) di Mazzolino, pinot nero in purezza, di cui ho sentito tante ottime cose.
Fa niente, sarà per un’altra volta.
Purtroppo non ho il rosè. Stapperò invece un Muller Thurgau Durello della Cantina di Soave (così recita l’etichetta) per le seguenti ragioni:
1) Me l’hanno regalato per Natale a lavoro, e forse Gamberetta apprezzerà in quanto nume tutelare dei lavoratori infaticabili.
2) E’ un brut, dunque si sposa benissimo col sottoscritto.
3) Al momento è l’unico spumante che ho in casa.
Nonostante non vada pazzo per gli spumanti, vi saprò dire di che
volgare intruglsplendido vino mi ha omaggiato la benemerita ditta.Duca, io sono piemontese ma mi piace la pallacanestro… che sta succedendo? O_o
Muller Thurgau è abbastanza aromatico, a me piace.
Avevo lodato il Maximilian I come prodotto low cost che merita.
Ti hanno regalato il Max? http://www.cantinasoave.it/Vini.aspx?prd=662&lng=0
Ti piace perché inconsciamente o consapevolmente sei favorevole alla riduzione delle differenze tra le diverse razze italiane unificate sotto la gloria militare del Piemonte, e adottare costumi negri non lesivi del proprio spirito ariano è un segno di distensione e fratellanza.
Poteva andare peggio.
L’Italia partì laica e Piemontese al 100%, orgogliosamente Faro Scientifico europee nei più avanzati campi elettrici, della fisica, delle artiglierie e con eccellenze pure nell’astronomia, ignorando o perfino sbeffeggiando apertamente il Papato (farò un articolo sulla mitica fontana di piazza dell’Esedra, studiata per oltraggiare la moralità dei papalini), e finì dopo qualche decennio a fare il Concordato e a mettere i bisogni delle Superstizioni sopra a quelli del Progresso.
La religione era un fatto per negri e ai negri andava lasciata. E ai romani, ma non è colpa loro: anche ai bianchi, col papato in mezzo per secoli a mischiare religione e vita civile, si finisce per adottarne la grottesca superstizione.
Grottesca superstizione divenuta poi mainstream.
Io adoro la nostra Dea e questo mi basta.
Noes!! Ora che me lo fai notare, la mancanza totale di un nome acuisce i miei sospetti sulla qualità del contenuto. Che in ditta abbiano cambiato metodo di smaltimento per le vasche di cromatura?
Uhm… comunque l’etichetta è questa:
http://imageshack.us/photo/my-images/89/p2120001.jpg/
Uh, bizzarro. Non mi pare di trovare quell’etichetta tra i vari “marchi” della Cantina di Soave. Bell’estetica retrò, le nuove etichette sono tutte così moderne…
Così a occhio mi pare simile alla produzione low cost Muller Thurgau (non durello) da 4 euro, ora non elencata sul sito: http://compagniadeigourmet.weebly.com/uploads/5/1/4/8/5148370/2530745_orig.jpg?181
Qui in offerta a meno di 3 euro!
http://www.tamtamofferte.com/imgs/prodotti/21864.jpg
Sarà buono. Credo.
Nel dubbio fallo benedire sottoponendolo dopo l’apertura a 4 minuti in presenza della Sua effige (va bene al monitor del pc).
Brindisi fatto:
http://www.steamfantasy.it/blog/2013/02/14/brindisi-di-san-valentino-per-gamberetta/